Che io venga a patti? Mai! – ed eccoti anche a te,
Stoltezza – io so che sarò alla fine da voi disfatto;
ma che importa: io mi batto, io mi batto, io mi batto.
Voi mi strappate tutto, tutto il lauro e la rosa!
Strappate pure! Malgrado vostro c’è qualche cosa
Ch’io mi porto (e stasera, quando entrerò in quel di Dio)
Potrò portare con l’orgoglio che mai macchiai ne macchio
L’indomita purezza del mio pennacchio.

(“Cirano de Bergerac”, E.Rostand)

Dorme ora, come un bambino. Spero sinceramente che riprenda in fretta le forze e le energie.
Tutto è cominciato verso le sei di questo pomeriggio. La stato di caos che la casa aveva raggiunto era paragonabile sono al disordine e alla confusione in cui sono da diversi giorni.
Mi ero appena svegliato dopo una delle tante notti ai limiti dell’insonnia, passata tra un incubo e l’altro a cui, ormai, ho cominciato a fare l’abitudine. Dopo una buona mezz’ora sotto le coperte passata a fissare il soffitto, saltellando da un pensiero all’altro ho preso la ferrea decisione di riordinare il delirante casino che avevo in testa partendo dalla casa.
L’ ho presa un po’ alla larga, ok, ma da qualche parte si deve sempre cominciare, e alla fine la cosa più immediata e più visibile che bisognava riordinare era proprio il mio piccolo spazio vitale. In piedi dunque!
Il salotto sembra al primo colpo d’occhio un incrocio tra una discarica e una fossa comune, i cuscini, come cadaveri sono abbandonati e ammassati a terra gli uni sugli altri sul tappeto tutto spiegazzato, mescolati a un numero imprecisato di palline e altri giochi che spuntano dai luoghi più impensati.
Deglutisco!
Mi faccio coraggio, stringo i pugni, prendo fiato un paio di volte e giro gli occhi verso la cucina. Lo spettacolo è così agghiacciante che non merita di essere descritto. Fatto questo non resta che punirsi definitivamente guardando cosa c’è in giardino, e soprattutto, visto che ormai sta diluviando da parecchie ore, quante cose saranno a mollo sotto l’acqua.
Incrociando le dita apro la porta a vetri e metto il naso fuori.
Fortunatamente la tenda ha coperto il divanetto di legno appena dipinto. Mi è costato mezza giornata di lavoro e quattro ore di doccia per lavarmi via la vernice di dosso; anche i cuscini che lo ricoprono sono appena umidi. Ma quella è l’unica cosa di cui essere allegri. C’è qualcuno accoccolato per terra davanti a me, tremante per il freddo e per l’acqua, che deve aver preso nella fretta di cercare un riparo.
Questa mattina il temporale deve essere arrivato tutto d’un colpo.
L’unica cosa chiara è che ha bisogno di un riparo migliore del tendone del mio giardino e a guardarlo bene anche di qualche cura medica. Mentre lo proto in casa mi accorgo che ha perso un dito di recente, la  ferita è ancora fresca.
Lo sento agitato, spaventato; quando tento di sollevarlo cerca debolmente di ribellarsi.
Penso di poter capire la sua paura, la sua solitudine e la sua fragilità, di poter immaginare il suo bisogno di protezione. Cerco di parlargli, di rassicurarlo. Sinceramente non credo che le mie parole possano avere un qualche reale peso ma il timbro della voce, lento e dolce, e le braccia che lo sollevano come un bambino e che trasportano delicatamente per la casa lo calmano per un attimo. Lo faccio sdraiare in bagno, in una cesta, e gli porto qualcosa da bere e da mangiare.
Da quando chiudo la porta sento che comincia lamentarsi: “Mi spiace amico, ma per il momento resti lì!”.
Torno comunque dopo pochi minuti con una boccetta di disinfettante della vicina, conquistata dopo il trasloco di quindici mastodontici sacchi della spesa, “sa siamo un a famiglia numerosa..”.
Lo trovo innervosito e agitato; dopo aver mangiato e bevuto deve aver riacquistato un po’ le forze e ora si lamenta con più energia.
“Non cominciare… , ti devo ancora medicare e ( Uff! mi sono dimenticato!) devo ancora mette in ordine casa!”
Silenzio….
Faccio del mio meglio con cotone e disinfettante, chiudo la porta, un po’ di musica e mi rimbocco le maniche.
Sembrerà incredibile ma in meno di un’ora è tutto in ordine perfetto (ho anche lavato i piatti e pulito i fornelli per interderci!!), avvicino l’orecchio alla porta del bagno e lo sento miagolare.
Apro. È dritto, mi guarda fisso negli occhi, si avvicina lentamente e comincia  a strusciarsi tra le mie gambe facendo le fusa. Lo prendo in braccio, trema ancora, …meno però, e ha gli occhi che implorano riposo.
Lo porto nella mia camera, appoggio un cuscino sul letto e ce lo metto sopra.
“Scapperà subito”è il mio primo pensiero, e invece, incredibilmente, dopo aver fatto due o tre giri su se stesso in cerca di una posizione comoda si piazza esattamente le mezzo del quadrato di stoffa imbottito che ho messo ai piedi del materasso.
Si è addormentato quasi di colpo, tutto raggomitolato come un riccio, con la testa tra le zampe posteriori, poi nel sonno ha cominciato lentamente a rilassarsi e a distendersi. Puzza, deve essere un randagio e il dito della zampa posteriore deve averlo perso in chissà quale battaglia.
Io nel frattempo mi sono seduto di fianco a lui, davanti al computer, facendo saltellare lo sguardo tra lo schermo e l’ombra del suo stomaco contro la parete che si muove ritmicamente.
Ieri sera tra una fetta di pizza e un sorso di birra mi ero lanciato con due amici in quelle classiche discussioni di filosofia spicciola che non hanno né capo né coda, che riempiono animo e cuore e che si dissolvono con l’ultimo brindisi prima del conto.
I ricordi, i momenti magici, gli attimi al di fuori del tempo e dello spazio, come si ordinano e come si fissano nella nostra memoria? In base a cosa alcuni restano e altri scivolano via per sempre come se non fossero mai accaduti? Come ricordare?
A pancia piena e soddisfatti del conto non eccessivo abbiamo realizzato che la cosa migliore per rispondere a tali esistenziali quesiti era andare a giocare a biliardo e non pensarci più e così cambiando argomento siamo saliti in macchina. Non c’è nessuna risposta quindi, o forse ce ne sono infinite. Ma sono convinto che si possano fare dei tentativi per non perdere quei momenti. Un sistema sicuro è scrivere, fissare su qualcosa di concreto come il foglio immagini e sensazioni.
Ci sono cose che non meritano di essere dimenticate; penso che sia così che sia nata la storia. Qualunque storia; anche la storia di due esseri viventi che, in una notte di temporale, in uno sconosciuto paesino sul lago Maggiore, si sono incontrati. Si sono visti e in un attimo si sono capiti, hanno condiviso la loro solitudine sconfiggendola insieme.
Il gatto cercava cure, cibo un tetto caldo e affetto. L’uomo cercava qualcuno da proteggere, un qualche espediente per sconfiggere così le proprie insicurezze.
Due esseri che nulla hanno in comune se non la vita che scorre nei loro corpi, e l’impegno di dover affrontare ogni giorno il mondo che li circonda per trovare o per seguire la propria strada.
Domani il temporale sarà finito, probabilmente prima che io mi svegli Benjiami (così l’ho chiamato, dal protagonista del romanzo di Pennac che sto leggendo in questi giorni) potrebbe uscire dalla finestra, che sto appositamente tenendo aperta, per riprendere il suo cammino e le sue avventure senza farsi riveder mai più.
Non so in questo momento cosa stia pensando, ma questa notte con il suo essere, ha conquistato il mio rispetto e sono convinto che anche domani sarà forte e coraggioso così come lo è stato stasera.
Si è alzato, ha fatto quatto passi è sceso dal letto e si è sdraiato sul pavimento, ho provato ad aiutarlo l’ho fatto sdraiare di nuovo sul cuscino ma lui stancamente si è di nuovo trascinato sul pavimento, senza emettere il minimo suono. Non vuole essere aiutato.
Lo vedo stanco debole e ferito agitare lentamente la coda; potrei anche rivederlo al mio risveglio sul pavimento spento per sempre, o potrebbe anche decidere di raccogliere le ultime forze e andare a morire per strada, solo, come e dove ha sempre vissuto. Penso che lo capirei anche in questo caso. Non sento di potermi permettere di decidere per lui o di influire nel suo destino.
Quello che mi imbarazza veramente è il non sapere se al suo posto avrei la forza di fare quello che lui sta facendo con tanta naturalezza. Non so se sarei in grado di lasciar scorrere attraverso di me la vita così come è venuta, senza aggrapparmici affannosamente. Ripenso ai vecchi delle popolazioni artiche che si allontanano dal caldo e dalla sicurezza della famiglia per seguire la strada della vita che ha preso un’altra direzione, verso la sua fine naturale.
Fisso negli occhi il mio piccolo amico e cerco nella profondità del suo sguardo socchiuso, scavato in due smeraldi verdi, un po’ del suo coraggio, del suo incontaminato concetto di vita.
Anche lui mi fissa, è come se vedesse la mia paura; chiude lentamente gli occhi e li riapre: è in uno strano modo rassicurante, ha il volto di chi aspetta serenamente quello che sta per succedere perché comunque sia è stato fedele a se stesso, perché comunque non ha nulla da rimproverarsi ed è quindi felice.
Poi chiude gli occhi e si addormenta.
Buon riposo amico, e grazie… , penso che dormirò anche io stanotte.