“Ho una strana sensazione che non riesco a spiegarmi, non so cosa pensare o come sentirmi.
Forse tu sei l’unico, vecchio mio, che mi puoi aiutare. Ti chiedo solo di ascoltare con attenzione il mio racconto, senza interrompermi, senza opporre alla mia apparente follia la tua razionalità.
Devo fare ordine nei miei pensieri, devo avere qualche momento di tregua da queste immagini oscene, senza ordine, incombenti, irreali che mi stanno ossessionando, e forse l’unico sistema, l’unica uscita di sicurezza è riannodarli in un coerente sviluppo. Raccontare, o almeno tentare di farlo.
No, non sto delirando, ascoltami e capirai.”Stetti in silenzio mentre prendeva fiato in attesa di ascoltare la sua storia. Tutto era cosi strano, era stato così improvviso, che ero preparato a sentire tutto. Sono sempre stato un razionale, non mi sono mai piegato a credere a cose incredibili.Questo lui lo sapeva, ed era proprio questo che si aspettava da me. Anche Alex era sempre stato come me e forse era esattamente per questo che queste sue iniziali parole mi fecero cosi paura.
Incominciò.
“Prova a immaginare…
Sono le otto e mezza, il museo d’Orsay sta per chiudere, sei all’uscita, ma ti rendi conto di esserti dimenticato all’ultimo piano la borsa.Corri su per le scale mobili nella speranza che nessuno l’abbia presa.Trovi la borsa esattamente dove l’avevi lasciata, tiri un lungo sospiro di sollievo, poi ti incammini lentamente, col fiatone, verso l’uscita, i quadri degli impressionisti ti rubano ancora qualche minuto mentre ripercorri gli ampi saloni.Quando arrivi all’uscita, nessuno.
Rimani incuriosito e un po’ spaventato davanti al grande portone , prima di realizzare che sei rimasto chiuso dentro.
Possibile?
Giri per qualche minuto nella pia speranza che ci sia ancora qualcuno ma inesorabilmente non incontri anima viva, comunichi la tua presenza ad alta voce, prima in francese, poi in italiano, urlando di rabbia, e forse (me ne rendo conto solo adesso) di paura.
Dopo qualche secondo si spengono le luci.Fai un giro allibito, correndo, cercando un qualsiasi sistema di comunicare con l’esterno.
Maledici te stesso per esserti dimenticato a casa il cellulare : « Mai più », ti dici ; poi abbandonata ogni speranza te ne fai una ragione e mentre torni verso l’uscita, dove ti ricordi di aver visto una comoda poltroncina, ti prepari il discorsino da fare il giorno dopo alle guardie.
Mentre ti incammini, vedendo i sofisticati sistemi di allarme di allarme antinfurto e antincendio, ti solletica l’idea di farne squillare uno.Potrebbe essere la soluzione per uscire dall’impaccio, ma passare per ladro e finire in commissariato per tutta la notte a dare spiegazioni non è la migliore delle soluzioni, e sicuramente domani mattina, sarà più semplice parlare con il capo della vigilanza lamentandosi del cattivo servizio e della scarsità di controlli.
Ti prepari quindi a passare la notte.
Il museo è freddo, asettico, la luce della luna filtra dalle grandi vetrate e si mescola alle fioche luce al neon creando una strana atmosfera. Dalla sedia su cui ti sei sistemato il tuo sguardo si perde nell’immensità del salone centrale, per prendere sonno provi a immaginare come doveva essereLa “Gare d’Orsay” quando ancora era una stazione ferroviaria, “sicuramente non sarei rimasto chiuso dentro” ti dici sorridendo, cercando di scacciare un po’ la paura.
I minuti passano e i pensieri si susseguono, non sei mai stato un codardo, ma devi ammettere che il silenzio e le luci fioche ti trasmettono uno strano senso di inquietudine.
Ti decidi così di fare un giro per il museo per vincere insonnia e paure.I tuoi passi rimbombano uno dietro l’altro per le grandi sale.
Vedendo le varie opere ti accorgi di come gli impressionisti avevano ragione, la luce è un elemento fondamentale. Ti sembra di vedere i quadri per la prima volta.
Alcuni perdono completamente il loro fascino, mentre altri acquistano forme e colori che li trasformano completamente.E che dire delle statue. In quella pallida luce sembrano prendere nuova forma, superano la loro statica tridimensionalità.
Osservi la « porta dell’inferno » di Rodin. Pietrificante. Donne e uomini che si accalcano e che tentano la fuga da una immensa parete bianca, e in alto su tutti, con fare pensoso: Satana.I suoi occhi ti fissano da tre metri d’altezza. Ti penetrano. Tutto intorno a te scompare, vedi solo lui avvolto dalla pallida e giallastra luce lunare.Un brivido ti percorre la schiena, scrolli la testa e decidi di accelerare il passo e provare a dormire.Non ti se tranquillizzato di molto, anzi, a dire il vero, le paure che prima intuivi solo di avere si sono trasformate in certezze, facendo un ultimo sforzo di razionalità rallenti il passo che stava sempre più somigliando ad una corsa, fai un bel respiro e ti convinci che si tratti solo di autosuggestione.
Con calma e decisione ti dirigi dunque vero con passo fermo e sicuro, i nervi tesi ma sotto controllo e lo sguardo che penetra il pallore dei raggi lunari e mira dritto verso la poltrona.
È questione di un attimo, e un riflesso di luce bianca e distoglie l’attenzione dalla meta la tua attenzione.Poco più avanti a te esattamente sotto una vetrata, bianca e lucente, c’è una statua.
Abele, è sdraiato su un blocco di marmo alto circa come la tua vita. È morto, ha una visibile cicatrice sulla fronte e il bastone utilizzato da Caino per ucciderlo ai suoi piedi.
La luce, che entrando dalle finestre avvolge tutta la figura, mette in risalto tutti i particolari della statua.Rimani paralizzato a osservarla, le fattezze dei muscoli, della struttura corporea cominciano a sembrarti molto più che realistiche. Rima lì, attratto da quel bianco innaturale con gli occhi sgranati, fissi.
Non riesci più a staccare lo sguardo, anche perché cominci ad avere la sensazione che le costole della statua impercettibilmente si contraggano e si rilassino, come se questa stesse respirando.
Non hai fiato, non hai parole, sei lì immobile che osservi la scena, cerchi ancora una volta di fare appello alla la tua razionalità, ma fallisci miseramente, i mentre il torace di Abele accelera leggermente i suoi movimenti accade una cosa per cui non troverai mai nessuna spiegazione logica la tua mano destra si allontana tuo fianco, e, contro la tua volontà si avvicina verso le costole della statua, come se volesse toccarla.Osservi sempre più impietrito la scena, le tue dita si avvicinano lentamente alla superficie bianca del marmo, mentre ormai il respiro di Abele si fa quasi affannato, vedi il riflesso della luna formare una specie di sottile aura pallida intorno alla scultura, fino a che non senti il tuo cuore fermarsi di colpo quando la tocchi.
Ti risvegli tre giorni dopo in questa stanza di ospedale, la prima persona che vedi è il medico che ti dice che sei stato trovato nel museo d’Orsay privo di sensi, vicino alla statua di Abele in una pozza di sangue che non era il tuo.
Quindi amico mio, avrai ora capito il mio stato d’animo attuale, dimmi tu, ti prego, come ti sentiresti al mio posto?”
Lo guardai a lungo senza dire una parola, poi, ancora debole e stanco Alex si addormentò. Il giorno seguente parlai col medico, mi disse che “l’incidente” al museo era una cosa di cui non si doveva parlare troppo in giro, le autorità erano passate sopra a tutto e avevano chiuso in 24 ore l’inchiesta.
“Non è successo nulla di irreparabile in fondo – disse il medico- ho appena dato un occhiata alla cartella del vostro amico e potrà lasciare l’ospedale tra un paio di giorni, un po’ debole, certo, ma in perfetta salute”.
Non commentai e tornai nella stanza di Alex. Ci guardammo per un attimo negli occhi e cominciammo a parlare della sua salute e ad organizzare il rientro a Milano.
Dopo tre giorni esatti partimmo, Alex non era ancora perfettamente in forma ma si sarebbe ripreso molto in fretta e in via definitiva.Non parlammo mai più di cosa gli fosse successo quella notte, ma ancora oggi, quando la luce della luna è molto intensa gli si può vedere negli occhi un sottile riflesso bianco accompagnato da un sussulto del cuore.