Tutti ingannati dalla truffa mediatica della legge Levi sull’editoria

Pubblicato su Shannon.it il 03 novembre 2007

Risposta di MASSIMO MELICA, Presidente del Centro Studi di Informatica Giuridica.

ddl

Signori della stampa e signori politici, complimenti! Se la sono bevuti tutti, in primis Grillo (che non ha colto l’aspetto più drammatico della vicenda), seguito dai bloggers italiani (che già prima si stavano
informando della cosa) e dall’opinione pubblica fino ad arrivare agli echi della stampa internazionale.
Tanto per fare qualche esempio: Out-law.com titola un articolo “Italy proposes ‘anti-blogger’ law”; il Times con una fredda battuta tristemente allusiva alle condizioni della nostra politica “A geriatric assault on Italy’s bloggers”;
BoingBoing “Italy proposes a Ministry of Blogging with mandatory
blog-licensing”.

Grazie al nostro sistema informativo sia i cittadini italiani che il resto del mondo si stanno convincendo che la legge Prodi Levi sia una legge anti-blog. Mi spiace deludere tutti ma questa legge non è anti-blog, magari lo fosse!

Date le sue vaghe premesse, la legge Prodi-Levi può facilmente essere applicata a qualsiasi cosa sia scritta da qualunque cittadino italiano.

Rischia di essere così coinvolta anche la stampa accademica! La ricerca nel nostro paese ha già abbastanza problemi, paralizzare (o anche solo rischiare di farlo) le pubblicazioni universitarie e scolastiche potrebbe essere il colpo definitivo.

Rischia di essere anche coinvolta la stampa scolastica, per cui se la legge passa il giornalino della scuola materna di un qualunque paesino d’Italia deve registrarsi al Roc, o alternativamente distribuire lo stesso le sue copie sapendo che compie una attività al di fuori del legale. E se a un genitore iper-apprensivo o troppo moralista non piaccio i contenuti? Nessuna discussione di classe, gli basta fare una telefonata e il giornale è costretto a interrompere le sue attività se non rientra nei termini di legge.

Vale la stessa cosa per le riviste indipendenti e per tutti coloro che scrivono per passione e che cercano un pubblico che li legga e li faccia crescere.

Vale lo stesso anche per i blog? Certo! Ma farsi fare un cavillo nella legge che esclude solo i blog significa essersi fatti fregare, e fregare forse non basta…

La stampa incalza la notizia e tutti seguono. La legge anti blog fa discutere, ma un sacco di persone in Italia (il paese più vecchio del mondo) i blog non sanno nemmeno cosa siano e si sentono solo moderatamente coinvolti.

La notizia gira, ma non mette in luce il punto cardine del fenomeno: questa legge va contro TUTTA la stampa indipendente del paese. Non è un ostacolo, ma un freno consistente alla libertà di espressione (articolo 19 della dichiarazione dei diritti umani), e un relativo freno allo sviluppo culturale dell’Italia nel suo insieme

Il problema in realtà non esisterebbe se le leggi fossero scritte per raggiungere lo scopo dichiarato dalla legge stessa e non altri fini. Questa legge è per l’editoria? Bene, che sia una legge per gli editori!

Un editore sceglie di esserlo per una serie di considerazioni sui costi-benefici. Si registra al Roc per poter operare in un mercato in cui vigono le leggi dell’economia. Chi scrive per passione non può essere vincolato dalle stesse leggi che vincolano di chi fa della comunicazione un business.

L’errore fondante a mio avviso sta nel definire in prima istanza i prodotti editoriali. Va definito come prima cosa chi sia un editore e stando a quanto dice la legge quando si parla di finanziamenti dovrebbe essere una società o una cooperativa legalmente riconosciuta. A quel punto la definizione di prodotto editoriale viene vincolata agli editori, il mercato giova di una nuova riforma e chi è al di fuori del settore continua a fare sereno la sua vita. La stampa editoriale e la stampa indipendente sono due cose distinte e distinte devono restare. È la bilancia su cui si basa la libertà di espressione di un paese ed entrambe vanno tutelate e se possibile incoraggiate.

RISPOSTA DI MASSIMO MELICA (Presidente del Centro Studi di Informatica Giuridica)

Sul ddl Prodi-Levi, in breve tempo, si è abbattuta una valanga di proteste dal mondo della Rete.

Mai come oggi, si è registrata una pacifica insurrezione di tali dimensioni. In precedenza il popolo della Rete è riuscito a fermare il decreto Passigli sul controllo dei siti web, a chiedere delle modifiche sul decreto Urbani per il contrasto alla pirateria digitale, questa volta invece la risposta alla protesta ha prodotto la modifica dell’art. 7 che ora recita: “”Sono esclusi dall’obbligo di iscrizione al Roc i soggetti che accedono ad internet o operano su internet in forme o con prodotti, come i siti personali o ad uso collettivo, che non costituiscono un’organizzazione imprenditoriale del lavoro”

A questo punto mi chiedo, il mio blog collegato al sito dello studio legale è legato ad un’organizzazione imprenditoriale? Credo proprio di no (forse), e il blog legato all’azienda che viene destinato ai dipendenti? Forse Si, perché qui si parla di organizzazione del lavoro; oppure si intende una attività imprenditoriale che trae vantaggio dalla Rete?

Ciò che mi lascia perplesso è il voler sottoporre giornalini scolastici, parrocchiali, riviste delle giovani marmotte, siti, blog e altre diavolerie alla registrazione presso il ROC, forse perché questo provvedimento eliminerà, nel caso del web, la pedopornografia on line, il phishing, i reati informatici, la diffamazione, le minacce via e-mail, gli insulti tra tifoserie, la pirateria del materiale sottoposto a tutela dal diritto d’autore, la violazione nel trattamento dei dati personali? Credo proprio di no: per questo il Times ha commentato malissimo questa nostra proposta legislativa.

Ritenendo la buona fede di chi elabora questi articolati, mi domando: chi sono i tantissimi e pagatissimi “consulenti” di questi pozzi di scienza politica?

Effettivamente Federico Moro propone una soluzione, forse un po’ troppo semplicistica ma estremamente efficace, ovvero di specificare nel testo i soggetti sui quali far ricadere la norma cioè “gli editori i quali esplicano un’attività imprenditoriale”.

Ma siamo proprio certi che sia la soluzione migliore?

Forse non andremmo a colpire tantissimi “piccoli e indipendenti editori” che pubblicano più per passione che per guadagno?

Allora mi viene in mente, viste le intenzioni e i risultati ottenuti, una frase di manzoniana memoria…. “Questo ddl non s’ha da fare!”

aggiungo il video realizzato da civile.it, fatto molto priva ma scovato da pochissimo.